“Alle ventimila e più persone morte
nel vano tentativo di raggiungere le nostre coste, sperando in una vita
migliore. Ai volontari che in tutta Italia sono impegnati nell’assistenza di
profughi e richiedenti asilo”.
Questa la dedica che Francesco
Maria Magnano ha scritto con un inchiostro pieno di amore nel suo “Vuoti a
perdere” (Melino Nerella edizioni, 10 euro). Amal, “Speranza” in italiano, è
una giovane sveglia e intelligente, nata tra il 3 e il 4 ottobre 1993, proprio
nella notte della battaglia di Mogadiscio (tanto che “i combattimenti
cruentissimi lungo la linea verde, striscia di separazione tra le fazioni,
avevano impedito ogni tentativo di trasferimento in ospedale”).
Una piccola Ulisse in gonnella,
ma meno furba e scaltra dell’eroe omerico (almeno inizialmente perché la vita e
le esperienze, si sa, possono cambiare parte di noi), la quale compie un
viaggio impervio per la libertà e l’indipendenza, per scappare dalle
ingiustizie e dalle restrizioni del suo Paese. Una Ulisse il cui fine non è
tornare alla sua Itaca, città dove ha lasciato gli affetti e gli amici, ma arrivare
a Lampedusa, che
per la sua posizione tra le coste nordafricane e il sud d'Europa è stata ed è
tutt’ora punto privilegiato d'approdo dell'immigrazione.
“Prima della classe, almeno
fino alla chiusura forzata delle scuole, frequentava la quinta del liceo
scientifico. I miliziani delle corti islamiche scoraggiavano la frequenza
scolastica femminile. Ma il papà, Abdel Ghaffar, professore di Storia allo
stesso liceo, aveva messo a soqquadro l’istituzione: Amal avrebbe studiato!”.
Così si legge nella quarta di copertina di “Vuoti a perdere”, in cui l’autore
sembra aver vissuto in prima persona il dramma del viaggio della speranza verso
Lampedusa. Forse proprio perché Francesco Maria Magnano vive accanto agli
immigrati, dirigendo da due anni un centro di accoglienza per coloro che
richiedono asilo politico. Avrà sicuramente conosciuto molte Amal nella sua
vita…
“Ho lavorato con i
migranti. Ne ho condiviso speranze e
delusioni. Una parola mi risuona costantemente: “sciuè sciuè” , cioè “piano
piano”. Assume un significato di pazienza e attesa, speranza e fede. Con
l’aiuto di Dio piano piano speriamo di migliorare la nostra condizione. Se
pensiamo alle nostre esistenze di agiati europei , mai la nostra crisi potrà
essere nemmeno lontanamente paragonata alle carestie e alle guerre. Ci
lamentiamo se non andiamo in vacanza”.
Un libro forte, “che si è
scritto da solo”, come ammette Magnano, a tratti crudo e crudele, in cui la
protagonista è vittima di violenze e soprusi da parte dell’altro sesso,
tanto che più volte ricorderà a se stessa di non doversi mai fidare degli
uomini.
Una ragazza profondamente
libera Amal, forte, con le idee chiare, una vendicatrice del ruolo di schiavitù cui è
costretta la donna nel suo Paese. La sua arma? La cultura. Quella cultura che
le ha trasmesso fin da piccola il suo papà, il quale conservava tutti i suoi
libri dentro un grande baule sepolto in giardino, perché, ovviamente, ogni
libro, rivista e giornale veniva controllato a Mogadiscio (lo Stato aveva il
proprio index librorum).
Papà Abdel Ghaffar trasmetteva oralmente
con saggezza e infinita dolcezza il suo sapere alla figlia. La cultura aiuterà
parecchio Amal nella sua odissea, facendole capire molto di più rispetto ai
compagni di viaggio, che appaiono ciechi rispetto a lei. La cultura salverà il
mondo e cambierà la vita di Amal?
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