(Tratto dal giornale Chair, 24 aprile 2014)
“Scrivendo Olimpia, Luigia Sorrentino scrive il libro della sua vita. Olimpia punta all’essenza, tocca in
profondità le grandi questioni dell’origine e della morte, dell’umano e del
sacro, del nostro incontro con i millenni. Ha uno sguardo lungimirante: sguardo
ampio, prospettico, a volo d’aquila”. Così Milo De Angelis scrive nella
prefazione di “Olimpia” (Interlinea 2014), l’ultimo libro di poesie di Luigia
Sorrentino, giornalista Rai, poetessa, ideatrice e conduttrice di programmi
radiofonici quali “Notti d’autore” e del primo blog di poesia della Rai. E proprio
dal blog sul sito di Rainews (http://poesia.blog.rainews.it/), che in breve tempo si è
affermato come uno dei principali mezzi di divulgazione della poesia, della
letteratura e delle arti in generale, in Italia e all’estero, è iniziata la
nostra conversazione per Chair.
Cara
Luigia, il tuo blog si è in breve tempo affermato come uno dei principali mezzi
di divulgazione della Poesia, della Letteratura e delle Arti in generale, in
Italia e all'estero. Quando è nata
la tua passione per la poesia?
Ero seduta sui gradini di una spiaggia, a
Diamante, in Calabria, di fronte a un mare calmo, in una calda notte di luglio
e scrivevo una poesia dedicata a Beniamino, cameriere d’albergo. La luna
rifletteva nell’acqua la sua luce bianca e scoprivo l’orizzonte che separa il
mare dal cielo. Alle mie spalle, i pallidi ricami montuosi. Ero lì, presente,
ma percepivo il limite di quell’esperienza, la distanza dal luogo in cui mi
trovavo provvisoriamente. La
professoressa d’italiano e latino, Giulia Albergamo, aveva assegnato la
lettura, per l’estate, di un testo per ragazzi, “Il treno del sole” di Renée
Reggiani. Il libro racconta la storia di Agata, vissuta fino a tredici anni in
un ambiente di braccianti, in Sicilia, poi emigrata con la famiglia nel
“Continente”, a Torino. Io mi sentivo
Agata, provavo la sua stessa nostalgia
per il paese natìo, avvertivo la differenza tra la grande città e il piccolo
paese del sud, dal quale anch’io provenivo… Avevo, come lei, un profondo
desiderio di giustizia sociale. Imparai, leggendo quel libro, che il denaro e
il successo rendono a poco a poco gli uomini terribili. Mio fratello mi
rivolgeva la domanda di sempre: "Cosa vorresti fare da grande?"
Rispondevo: "La missionaria", e lui scandiva la mia risposta: “La
mis-sio-na-ria!”. Avevo undici anni.
Quella che chiamavo missione, era, in realtà, il compito
che avrei intrapreso in età adulta, quando, economicamente indipendente, mi
sarei potuta dedicare alla poesia. Posso affermare, dopo questa lunga premessa,
che il primo blog di Poesia della Rai, sul sito di Rai News, è un desiderio di felicità
collettiva, nato da un desiderio di giustizia sociale. Lo dedico a tutti quelli
che silenziosamente ogni giorno fanno accadere qualcosa nel mondo della poesia,
dell’arte e della letteratura. Perché non dar loro voce? Perché ignorare creature come i poeti, far finta che non esistano?
- Cosa può insegnare la poesia oggi?
Nel lavoro di scavo sulla parola che fa il
poeta, c'è un'esperienza e una conoscenza che si vuole trasmettere. La poesia è una grande lezione di umiltà e di
saggezza alla quale nessuna persona dovrebbe sottrarsi. Infonde pienezza,
consapevolezza, gioia, perché scioglie nodi profondi che riguardano tutti. Non
vi è mai nulla di strettamente personale in un testo poetico. La poesia è donarsi nella parola, e chi
la riceve, diventa consapevole, e quindi, compirà lo stesso gesto, donerà la
parola a un'altra persona.
Chi legge la poesia, ha il desiderio di
guardarsi, di riconoscersi, in una dimensione che scopre appartenere anche a se
stesso. La poesia non deve essere capita, ma ascoltata. Il significato
dell’ascolto arriverà molto dopo, con il riverbero di una voce che ti parla
profondamente.
- Quale è stato l’incontro nella tua
carriera che ti
ha colpita e affascinata maggiormente?
Non c'è soltanto un incontro... Ci sono i
silenzi degli incontri. L’osservarsi reciproco, l’ascoltarsi, dopo lunghe
pause. C'è la condivisione di un amore disperato per la poesia, c’è la lettura
di una poesia, il voler ricevere e il voler dare qualcosa. Certo, alcuni poeti
che ho incontrato, sono indimenticabili e preziosi… Non dimenticherò mai Seamus
Heaney che mi parla della sua infanzia, e, alla fine di una lunga intervista
televisiva, mi legge “Anahorish 1944”, e poi “Chanson d’aventure”, poesia in
cui Heaney rivive il trasporto in ambulanza verso l’ospedale a seguito di un
malore che l’aveva colpito qualche anno prima. Tre mesi
dopo, a fine agosto del 2013, ero in ferie dal lavoro, quando Domenico Molina,
interprete e traduttore che aveva incontrato con me Seamus Heaney, mi ha
raggiunto al cellulare per dirmi
dell’improvvisa scomparsa del grande poeta irlandese, premio Nobel per
la letteratura. Non volevo crederci. Ho pianto per giorni… Mi ripetevo: “Non è
giusto, non è giusto…”
Anche l’Italia è un paese di grandi poeti. Ho
imparato qualcosa da ognuno di essi, ma direi, non solo dai poeti, anche da
alcuni scrittori, filosofi, teologi e studiosi di fama internazionale. Non
dimenticherò mai la grazia e la semplicità del porgersi di Mario Trevi,
Emanuele Severino, Bruno Forte, Nadia Fusini, per rimanere in un ambito non
strettamente poetico.
"Olimpia" è stata
definita da una persona che stimo e con la quale condivido l'amore per la
poesia, un "prisma
sapienziale". Mi è piaciuta molto questa definizione che è arrivata
all'improvviso in una mail. Proprio come sono arrivati i versi di
"Olimpia", senza alcun preavviso, ritornando in un luogo che avevo
visto per la prima volta a quattordici anni. Queste poche parole mi hanno
chiesto un titolo che portasse il nome di una donna, di una città, fra un
respiro e l'altro, con un filo di voce, nel segno di una seconda nascita.
- Quale filosofia di vita vuoi trasmettere attraverso la
lettura di Olimpia?
“Olimpia” ci dice che i luoghi decisivi del
pensiero filosofico possono incontrarsi nella rivelazione poetica. Alcuni
grandi filosofi e anche molti poeti l'hanno capito da secoli. Poesia e
filosofia pongono, da sempre, le stesse domande che appartengono al destino
della verità. I filosofi della tradizione occidentale ci dicono che l’uomo
rifiuta l’oscurità della nascita e della morte, cioè vuole vincere, avere potenza,
desidera diventare altro per salvarsi dall’angoscia del proprio destino. E a
questo punto, la rivelazione poetica illumina il pensiero filosofico,
sciogliendo il rapporto tra finito e infinito.
Da
una parte, il mito della fondazione dell’universo riproposto in “Olimpia” ci
rivela che l’umano deve separarsi dal divino, dopo lo smembramento, la lotta,
per la supremazia, dall’altra ci dice che sarà necessario per l’umano il
ritorno nello stesso luogo divino dal quale proviene, per ristabilire la
giustizia, il sé sacro. Il debito tra umano e divino, quindi, si salda nel
cerchio originario del destino.
- Olimpia riunifica le parti separate, le congiunge, e dice
che umano e divino sono dentro la stessa persona. Il divino e l’umano sono un binomio imprescindibile all’’interno della nostra società o ne prevale uno, vista la
cronaca che ci insegue oggi?
Sicuramente oggi la cronaca prevale su tutto,
purtroppo. In "Olimpia" il dato realistico è filtrato, c'è, ma non si
percepisce automaticamente, perché questa poesia compie un gesto di opposizione
e di contrasto alla realtà per entrare
in una riflessione che oltrepassa il proprio tempo. Il pensiero poetico di
“Olimpia” si auto-emargina, ed è emarginato, dalla ferocia del presente. Ma se
è vero quello che ho affermato prima, e cioè che l’umano ritorna nel medesimo
luogo dal quale proviene per fondersi alla stessa natura dalla quale si è allontanato,
non sarà difficile comprendere che vita-morte non sono entità separate: esse si
ricongiungono a una stessa fonte, e ad essa si rigenerano.
"Poi qualcosa chiamò / precipitata e
muta / lasciò che altri sapessero..." scrivo in una poesia di “Olimpia”.
Spesso, quando accedo al luogo dove lavoro, a Roma, sussurro tra me e me,
questi pochi versi, sempre gli stessi… e sento il battito del mio cuore
accelerare. Mi da' gioia pensare che altri possano un giorno sentirsi chiamati
dalla poesia. Perché quando la poesia si manifesta, è multiforme, sorride, e
compie un gesto di libertà assoluta. Non si ha più paura di nulla, perché
quella parola pronunciata fra le labbra, mette "al riparo" da
qualsiasi offesa. La poesia è ardente, conserva una fecondità illimitata
mediante la quale si recupera anche ciò che è
irrimediabilmente perduto.
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