“Don
Gallo era un prete che, spinto dalla fede, dal carattere, dal coraggio, si è
sempre occupato degli ultimi. Nato in un'Italia tanto diversa da ora, ci lascia
un bagaglio enorme di esperienze, di scelte, di punti di vista dissonanti e per
questo indispensabili. Predicava nelle carceri, negli istituti penali minorili,
si occupava dei tossicodipendenti, degli alcolisti, dei migranti, dei malati
psichici. A lui, cui nessun pregiudizio, nessun tabù, nessuna differenza impedì
mai di essere apostolo di carità, va il mio pensiero grato e affettuoso”.
Pietro Grasso, presidente del Senato, afferma ciò sulla scomparsa di don Andrea Gallo,
prete “sui generis”, venuto a mancare il 22 maggio scorso a 84 anni. Il prete
degli ultimi, appunto, degli emarginati, dei più poveri e bisognosi, secondo
gli insegnamenti di don Bosco, mettendo
sempre al centro la persona, con la sua originalità, i suoi
pregi e difetti. Un prete con le idee chiare, che si è sempre opposto alle
ingiustizie, alle prevaricazioni, ai soprusi e ai pregiudizi. Da qualunque
parte provenissero. Anche e soprattutto dall’interno
di quella che lui amava ripetere essere la sua casa, la Chiesa cattolica.
Un uomo, proprio per questo, molto amato da alcuni, ma allo
stesso tempo malvisto da altri. Non a caso, per il suo funerale, avvenuto il 25
maggio nella chiesa del Carmine della sua Genova, non sono mancati i momenti di
emozione, di amore, ma anche di tensione. Alcuni secondi di fischi sono
scattati quando il cardinale Bagnasco, arcivescovo di Genova, ha iniziato a
parlare nell’omelia dell'attività del fondatore della comunità di San
Benedetto. A provocare la protesta, dentro e fuori la chiesa del Carmine, il passaggio
in cui il porporato ha detto: «Don Gallo bussò alla porta del cardinale Siri,
che Andrea ha sempre considerato un padre e un benefattore». Fischi. Poi le
grida: «Vergogna, vergogna!».
In effetti è difficile dimenticarsi il rapporto complicato di
don Gallo con Siri, il quale nell’estate del 1970 lo trasferì dalla parrocchia
del Carmine a Capraia, a quanto pare per un’omelia domenicale. Nel quartiere era stata
scoperta una fumeria di hashish e
l'episodio aveva suscitato indignazione nell'alta borghesia. Don Andrea, prendendo spunto dal
fatto, ricordò nell'omelia che erano diffuse anche altre droghe, per esempio quelle del linguaggio, grazie alle quali un
ragazzo può diventare «inadatto agli studi» se figlio di povera gente, oppure
un bombardamento di popolazioni inermi
può diventare “azione a difesa della libertà”. La predicazione di don Andrea irritava
una parte di fedeli e preoccupava i teologi della Curia, a cominciare dallo
stesso cardinale Siri perché, si diceva, i suoi contenuti "non erano
religiosi ma politici, non cristiani ma comunisti".
Grande amico di De Andrè, Vasco Rossi e
di Piero Pelù, inseparabile dal suo sigaro e dal cappello, lottò per la
legalizzazione delle droghe leggere, si schierò in difesa dei diritti degli
omosessuali, delle lesbiche, ha alzato la voce quando Giovanni Paolo II ha condannato
l’uso del preservativo nei suoi viaggi in Africa. Don Gallo era questo e molto
molto altro. Era soprattutto amore, incondizionato e gratuito. Credeva
soprattutto in due simboli: la Bibbia e la Costituzione, come ha ricordato don Luigi
Ciotti, fondatore dell’associazione Libera, in occasione del funerale di un
prete così “scomodo”.
“Sempre con coraggio,
continuiamo a essere trafficanti di sogni»
Era l’augurio di don Gallo per il 2013, scritto sulla prima
pagina della sua agenda. Parole semplici, di chi crede che qualcosa possa
cambiare, di chi non si accontenta della società di oggi, di chi è convinto che
bisogna sempre lottare per migliorare e migliorarci. Un monito, un consiglio,
un insegnamento che lascia ai suoi tanti “figli” della comunità di San
Benedetto e a coloro che ha conosciuto.
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