“Il suo insaziabile animo anelava sempre alle cose smisurate,
fantastiche, sempre troppo grandi.”
(Sallustio, De
coniuratione Catilinae)
Questa breve descrizione, che lo storico romano Sallustio
dedica alla figura sinistra ed estremamente affascinante di Lucio Sergio
Catilina, sembra calzare a pennello anche per Jay Gatsby, protagonista del romanzo “Il Grande Gatsby” di
Francis Scott Fitzgerald, pubblicato a New York il 10 aprile 1925, da cui è stato tratto l’omonimo film, con
la regia di Baz Luhrmann, ultimamente nelle sale
cinematografiche. Forte il successo al botteghino, debolissimo nei giudizi della
critica. Indiscusso, comunque, il talento di Leonardo Di Caprio, che veste
appunto i panni del miliardario Jay Gatsby, gentiluomo misterioso e seducente.
Non era semplice interpretare questo ruolo, già ricoperto nel 1974 da Robert
Redford.
Un film che fa, inevitabilmente, pensare e riflettere. Gatsby vive a cavallo di
un punto di svolta della storia americana, i ruggenti anni ’20, tra il boom
economico e il crollo di Wall Street del 1929, tra stile di vita dissoluto ed
eccessivo, alcol a volontà, vizi, valori marci e frivolezza. Tra feste da sogno in ville
con piscina, musica, lusso, soldi e persone di ogni ceto sociale, c’è una
profonda mancanza di affetti autentici, una solitudine straziante, un’enorme carenza
di comunicabilità. E troppa indifferenza. Unico obiettivo: arricchirsi e godersi la vita in quel preciso momento, senza
pensare neppure per un attimo al futuro.
Il più solo di tutti i personaggi è appunto Gatsby, nella cui lussuosa villa si svolgono feste favolose, alle quali solitamente non partecipa e a cui accorre tutta la città. Rigorosamente senza invito. Tutto ciò che si organizza nella sua casa avviene per il solo scopo di poter rivedere e far tornare l’adorata Daisy, l’amore della sua vita, che ha dovuto lasciare per partire per la Prima guerra mondiale, giurandole eterna fedeltà. Lei, però, è ormai sposata ad un ricco giocatore di polo e madre di una bimba di tre anni, ma Gatsby non demorde e giura di riconquistarla.
Come lo ha definito Leonardo Di Caprio in
un’intervista rilasciata per il
settimanale Vanity Fair, “ Gatsby è una persona che cerca di riempire le sue
mancanze. Un ragazzino cresciuto nella povertà che rifiuta il mondo dei
genitori e si reinventa per amore di Daisy. L’ossessione per lei, la nevrosi
che muove le sue azioni, l’ambizione, il bisogno di essere accettato dalla
cosiddetta aristocrazia americana: tutto questo fa di lui un uomo solo e triste
che si staglia contro i grandiosi fondali delle più sfavillanti, decadenti e
sfarzose feste della New York di quel tempo”.
L’affascinante gentiluomo, arricchitosi grazie al
contrabbando e alle attività illecite, spregiudicato scalatore della società, è
dotato di un grande dono: la speranza. Quella speranza che si percepisce dal
suo sorriso non comune. Egli è un eterno e inguaribile sognatore, che non
rinuncia mai in ciò che crede. Egli è uno che cerca il successo non per se
stesso, ma per fare colpo sulla donna che ama. Un personaggio, purtroppo,
destinato alla sconfitta, che appare inadeguato al gretto e vuoto mondo che lo
circonda.
Un film, appunto, che fa riflettere, che lascia
un po’ l’amaro in bocca, quasi non accettando lo spettatore che valori così
puri e alti non portino al meritato e tanto agognato lieto fine. Francis Scott
Fitzgerald ha rappresentato gli ideali, i sogni e il marcio dell’America degli
anni ’20. Ma anche, diciamocelo chiaramente, il tallone d’Achille della nostra
società attuale. Oggi si è sempre alla ricerca dell’ amore, quello vero, per
cui si è disposti a tutto. Il vuoto intorno a sé è, purtroppo, una sensazione
che può capitare, a volte troppo spesso. Ci si può sentire soli nell’epoca
della “pseudo comunicazione”, non capiti, come monadi pazze, ciascuna con il
proprio percorso. L’incomunicabilità è un problema sempre attuale: pensiamo a
quella tra genitori e figli, tra marito e moglie, tra amici e parenti. Sembra
quasi che ci si sia fermati, che abbiamo ammaccato il tasto “stop” del videoregistratore
e non riusciamo ad andare avanti. E poi… Siamo davvero capaci ancora di sognare
in grande e di essere ottimisti, nonostante i problemi gravi con cui la nostra
società deve fare i conti? I sognatori e i romantici, come Gatsby, oggi pare
siano sempre meno, una razza in via di estinzione. Come i panda. Ce ne
vorrebbero di più.
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