Può accadere a volte che quando
si ha un successo mondiale con un libro (o anche con un film), si può rimanere
inesorabilmente intrappolati in quell’opera (o personaggio). Quando si
pronuncia il nome di Antoine de Saint-Exupery, a chi non viene immediatamente
in mente “Il piccolo principe”?
Il rischio, però, è di lasciare
nell’ombra le altre opere, altrettanto profonde e significative. “Volo di
notte” è un romanzo molto intimo e riflessivo dello scrittore-aviatore Saint-Exupery,
scritto nel 1931, con cui vinse anche l’ambito premio letterario Foemina. Vi lavorò
per tre lunghi anni, scrivendo, riscrivendo, tenendo svegli gli amici per
interminabili riletture notturne. Un’opera che sembra autobiografica e fa
venire i brividi, se si pensa al modo misterioso in cui morì l’autore, pilota
temerario e spericolato fino all’ultimo suo respiro.
“Nubi pesanti spegnevano le
stelle”, ma nonostante ciò il pilota Fabien decide ugualmente di proseguire il
suo viaggio. D’altronde, si sa, ogni pilota è consapevole di rischiare la vita.
L’uragano spinge fuori rotta l’aereo, interrompendo i contatti radio. Panico
totale. Panico anche di Jacques Riviere, responsabile dell’intera rete aerea,
che segue impotente lo sviluppo della tragedia. Uomo duro, gelido, severo, ma
mosso da un profondo senso del dovere e dall’idea del lavoro come missione,
Riviere. Una persona anche sensibile, che ha delicatezza nell’affrontare la
giovane bella moglie di Fabien, unita a lui nel sacro vincolo del matrimonio da
sole sei settimane.
Il libro emoziona tramite le
numerose riflessioni e il dramma della moglie di Fabien, la quale passa dalle telefonate all'arrivare in ufficio
vivendo, attraverso i silenzi e gli sguardi furtivi degli impiegati, la
certezza che il suo giovane marito ha perso le speranze. Il lettore si sente
partecipe di quel dramma che sta avvenendo sotto i suoi occhi. La tensione
aumenta pagina dopo pagina, in un lento e cruento climax.
“In nome di cosa?”, la domanda
inevitabile che si farà Riviere. “Quegli uomini che stanno per sparire
avrebbero potuto vivere felici… In nome di cosa li ho strappati a quel
santuario? In nome di cosa li ho strappati alla felicità individuale? La prima
legge non è forse quella di difendere quelle felicità?”. Domande strazianti,
che chissà quante persone, colpite dalla guerra, da calamità naturali o da
sventure varie ancora oggi si fanno… Quasi da filosofo la risposta: “Vittoria…
Disfatta… Queste parole non hanno senso. Sotto queste immagini, c’è la vita; la
vita che prepara già altre immagini. Una vittoria indebolisce un popolo, una
disfatta ne rianima un altro. La disfatta subita da Riviere è forse un
insegnamento che avvicina la vera
vittoria. Solo l’avvenimento in cammino ha qualche importanza”.
Sfido chiunque a voler dire
adesso che questo passo ha meno
profondità del celebre passo “L’essenziale è invisibile agli occhi” tratto da
“Il piccolo principe”. Perché doverle paragonare per forza? Sono entrambe
lezioni preziose, che fanno riflettere e spingono interrogarsi sul percorso di
ciascuno, cercando un significato di vita. Già… Vivere e non semplicemente (e passivamente) sopravvivere.
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