sabato 27 luglio 2013

Il museo delle cere

         
Buongiorno, cari amici! Oggi con grande piacere ospitiamo in questo blog lo scrittore Salvo Zappulla, che ringrazio di cuore per aver accettato la proposta di scrivere un articolo per il mio blog. Grazie mille! 
Un piccolo consiglio, se permettete: fate leggere i vostri bambini!!! Fin da piccoli! Ci sono tantissime opere di narrativa e fiabe per i bimbi... Due esempi sono "Lo sciopero dei pesci" e "Il pollaio dice no!", proprio del nostro gentile amico di "Pane cultura e fantasia".

Zappulla, direttore editoriale della Melino Nerella edizioni, presidente dell’associazione culturale "Pentelite" e del concorso letterario nazionale “Città di Sortino”, ha collaborato per 15 anni, con articoli di critica letteraria, alla pagina culturale del quotidiano "La Sicilia".
Attualmente è tra i redattori di Notabilis. Nel 2006 si è classificato 2° con un testo teatrale inedito al premio Massimo Troisi. Nel 2008 ha pubblicato con la casa editrice “Il pozzo di Giacobbe” la fiaba illustrata "Lo sciopero dei pesci", vincitrice del premio Prata. 



Nel 2013 ha pubblicato con Il pozzo di Giacobbe, una seconda fiaba, "Il pollaio dice No!", illustrata da Lucia Scuderi.



Cioè... Uno che decisamente non sta con le mani in mano. Poi proprio con me, che sono una leonessa, e che amo i miei simili e gli altri amici animali... Ok sono la solita scema. Lo so, lo so... Di seguito vi riporto un suo articolo intitolato "Il museo delle cere". Buona lettura!!!


Le vetrine delle librerie mi attraggono irresistibilmente, mi ammaliano, mi ipnotizzano come un bambino dinanzi alle luci del Luna Park. Dalle copertine dei libri volti ammiccanti di soavi fanciulle incipriate invitano ad entrare. Ci sono tutte: la Parietti, la Littizzetto, la Parodi. Volti? Fanciulle? Ridestarsi dall’estasi porta a sconcertanti riflessioni. Cosa sono diventate le librerie un’appendice del varietà? Il museo delle cere? Il trionfo dell’immagine? L’apoteosi del silicone? Facce da video, politici, soubrette, fotomodelle. La grafomania impera.



Ricordo, qualche anno addietro, quando mi presentai, manoscritto in mano, da un critico letterario per sottoporre alla sua attenzione il mio primo romanzo. Dopo averlo letto, mi disse: “Lei ha talento, ma non basta. La letteratura è una cosa seria. Scrivere è mestiere, me-stie-re. Occorre studiare, approfondire, documentarsi, limare, rivedere, intervenire, ricucire. Se vuole diventare uno scrittore deve leggere, leggere e ancora leggere”.
“E quando avrò finito di leggere?”.
“Ricominci a leggere, leggere e ancora leggere”. E mi appioppò una lista di libri da leggere e ancora leggere, quasi fosse la ricetta del medico curante. “Si ripresenti tra un paio d’anni. Buongiorno”. “Buonanotte”.


Mi chiedo se il consiglio sia ancora attuale. Forse avrei potuto risparmiarmi la fatica, sarebbe stato molto più comodo cercarsi una buona raccomandazione e presentarsi da Bruno Vespa. Nonostante la crisi, funzionano a pieno regime gli ingranaggi dell’industria cartacea. Qualsiasi titolo che serva a fare cassetta è ben accetto: raccolta di barzellette, aforismi, memorie a luci rosse di pornodive, romanzi da spiaggia, da fiume, da lago di montagna. Tutti seguono il messaggio mediatico e corrono a chiedere i libri dei volti noti. Regna il caos. Qualsiasi personaggio noto si sente autorizzato a pubblicare. Quante opere mediocri sono state fatte passare per autentici capolavori letterari. Eppure si fa finta di non sapere, si ignora volutamente per non intralciare certi ingranaggi della grande industria del Nord. La gente compra i libri propinati e imposti dai grandi mezzi di comunicazione, come tutti gli altri prodotti di consumo, i biscotti o i detersivi. 
In questi ultimi tempi un altro esercito avanza inesorabilmente: sono i figli del computer, hanno vent’anni, scrivono semplice, usano pochissima punteggiatura o addirittura ne fanno a meno. La grammatica è un optional. Sono trasgressivi e spregiudicati, passano con la stessa disinvoltura dal biberon alle redazioni delle più importanti case editrici: l’ultima generazione di scrittori italiani. 



I loro romanzi sono cherosene per l’adrenalina di quanti, uscendo dalla discoteca il sabato sera, vanno a schiantarsi a duecento l'ora.  Gli editori li accolgono a braccia aperte. Il pubblico anche. Fanno moda le nuove leve del momento e tanti altri ancora si apprestano a invadere il mercato librario. Hanno inventato un nuovo modo di comunicare, sono una categoria compatta e omogenea, il loro linguaggio si potrebbe definire iperrealistico o post-moderno. Si ha la sensazione di assistere a una clonazione genetica, al trionfo del conformismo linguistico. Dicono che vogliono sperimentare un nuovo stile di scrittura. Parlano di nuovi generi letterari. Come se avessero inventato chissà cosa. Voltaire diceva che tutti i generi letterari vanno bene, tranne quelli noiosi. La verità è che c’è crisi di idee, ci sono pochi narratori capaci di inventarsi belle storie. Anche i nostri grandi intellettuali mascherano l’appiattimento della loro fantasia facendo sfoggio di iperletterarietà; i loro romanzi sono pura esibizione di bella scrittura, ma di una noia mortale. Forse Calvino o Buzzati avevano bisogno di tali artifici per avvincere i loro lettori? No. Scrivevano semplice, scrivevano per la gente.


                                                                                                   



2 commenti:

  1. Ma che tesoro!!!
    Salvo Zappulla

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  2. Figurati! Grazie mille ancora Salvo! Spero ci saranno altri pezzi in futuro da proporre in questo blog.
    Questo vale sia per i tuoi articoli, così come per quelli di molti altri amici a cui ho chiesto di intervenire.
    Ma siamo ad agosto!!! Mare, sole, viaggi, mangiate... Della serie "Ma che vuole quell'Alessandra Leone? Per forza a me deve rompere la testa? Aspetti settembre!!!". Bè... Non avete tutti i torti... Sorry :)

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