(articolo
del maggio 2011)
Una donna che rappresenta un insieme di
donne: madre, moglie devota e poi vedova inconsolabile. Esule, sola,
combattiva, forte. In una parola: Andromaca.
Quest’anno
anno l’eroina euripidea, insieme al Filottete di Sofocle, è protagonista al Teatro greco di Siracusa del
XLVII Ciclo di Spettacoli Classici, inaugurato l’11 maggio e che si concluderà
il 26 giugno.
Riveste il complesso ruolo di Andromaca
Laura Marinoni, che con grande perizia tecnica e sensibilità, dopo aver
interpretato nel 2002 il ruolo di Io nel “Prometeo incatenato”, ritorna sul
colle Temenite con la sfida di mettere a nudo l’esperienza del dolore di una
madre che lotta per la sopravvivenza del proprio figlio, di una donna
emarginata da una società lontana dal luogo da cui proviene.
Sconsolata, profonda e ricca di sentimenti si presenta la sua Andromaca. Estrosa, elegante e orgogliosamente bella è , invece, Ermione, interpretata da Roberta Caronia.
Tra le due si pone Anna Teresa Rossini,
che impersonando la schiava di quella che fu regina, ora schiava, fa vivere
angoscia e sorpresa e la vasta gamma di dolori che ne discendono. Andromaca è una creatura integra: privata di
marito, patria e privilegi regali. L’unica cosa che possiede ancora è la
dignità. Proprio lei insegna il valore etico alla figlia del re.
Davide
Susanetti, traduttore della tragedia, utilizza un lessico immediato e un
registro basso per non offuscare l’impresentabile oscenità che il testo
euripideo mette a nudo.
La
tragedia appare volutamente scabra ed essenziale, proprio perché in tale
essenzialità emerge il profilo crudo di un discorso sul potere e sulla
violenza.
La scenografia è lineare, ma ricca di
significato, impreziosita dalle vibrazioni delle “scaglie metalliche” del mare
creato. In
mezzo alla scena campeggia quel che resta di una barca spezzata, l’altare della
dea Teti, in un palco rivestito di specchi.
“Questa sorta di lago ghiacciato, di mare
fermo diventato specchio, mi sembra il luogo dell’anima di Teti”, ha affermato
il regista De Fusco. ”La suggestione che mi ha portato a elaborare questa
immagine deriva principalmente dal finale, ma anche da un’allusione di
Andromaca nel prologo al fatto che il luogo dove vivevano Peleo e Teti, e dove
è ambientato il dramma, fosse un luogo isolato”.
Ma perché la scelta proprio dello specchio?
“Credo che il pavimento di specchio sia particolarmente efficace dal punto di
vista visivo, nel caso di un teatro dove gli spettatori guardano dall’alto. Ci
siamo divertiti con lo scenografo Maurizio Balò a immaginare come la natura
modificherà questa scenografia, perché l’ora del giorno, la luce del tramonto,
il tempo atmosferico, il passaggio delle nuvole renderanno l’effetto visivo
continuamente mutevole. La scenografia, quindi, in parte è determinata dalla
natura”. Ma la scenografia rimanda anche all’atroce attualità dei profughi.
Andromaca fa pensare alle donne che devono battersi per sopravvivere e per
proteggere i propri figli. Il suo dramma si rispecchia in un dramma prossimo alla nostra sensibilità: le
conseguenze della guerra, gli amori e le violenze che la accompagnano, il
finale trionfo della vera virtù sono le componenti, che rimangono sempre
attuali.
L’elemento acqua è uno dei fili conduttori
nello svolgersi della vicenda, un leit motiv che ha caratterizzato la tragedia.
Un mare che ha assistito al dramma,
ispirando le coreografie di Alessandra Panzavolta, direttrice del Corpo di
Ballo del Teatro San Carlo di Napoli, la quale ha pensato di far muovere il
coro e gli attori “come se fossero eternamente sopra e sotto il mare, a volte
in balia delle onde, a volte divenendo essi stessi creatori di ritmi”. Il
coro, costituito da oltre 30 figure femminili, con costumi argento e bronzo, si
sposta all’unisono sul palco. I motivi coreografici appaiono al servizio della
drammaturgia del testo e si armonizzano con le musiche di Antonio Di Pofi, formando
un tutt’uno con i gesti.
Teti, onda-barbona che
all’inizio si mimetizzerà in pochi stracci, appare come uno straordinario filo
rosso in tutta la vicenda e alla fine della tragedia è la vera dea ex machina,
che consola il marito Peleo e che irrompe vestita di azzurro oceano con un
fluttuante strascico.
L’Andromaca è un teatro della vergogna e
della violenza, della prepotenza dei ricchi e dell’oscenità del potere e della
guerra. I soldi, la ricchezza sfrontata, l’oro sono quasi una ossessione.
Matrimoni considerati come smaccata merce di scambio per sancire alleanze, come
mezzo per incamerare denaro e ricchezze.
Ermione personifica proprio l’immagine di
quella prepotenza, di una prevaricazione che tenta di imporsi al di sopra di
tutto e tutti. La giovane moglie di Neottolemo si sente minacciata dalla schiava
Andromaca, dalla preda di guerra del marito. Allo stesso modo, Deianira nelle
Trachinie di Sofocle teme di essere messa da parte quando scopre che Iole,
anch’ essa prigioniera di guerra, è oggetto della passione di Eracle. Si
possono notare inoltre collegamenti con Medea, che dispone dell’astuzia e dei
filtri per colpire i suoi nemici. Ma in realtà nell’Andromaca (a parte le
accuse di Ermione) non vi è prova che l’infelice moglie di Ettore faccia uso di
filtri magici. Ermione tenta di cucire addosso alla sua rivale il profilo della
barbara pericolosa, della donna asiatica terribile e capace di tutto. Il
parlare di Andromaca è un “franco parlare”, privo di furbizie retoriche e di
manipolazioni (parrehesia). Andromaca è quindi l’assoluto contrario di Medea
con cui l’interlocutrice vorrebbe farla coincidere.
In
questo scenario, Peleo, interpretato da un superbo Mariano Rigillo, rappresenta
l’unico esempio positivo di un universo
patriarcale, memoria di un passato diverso, legato alla terra, di un mondo non
disposto a riconoscersi in quello che la polis è diventata. Peleo è un forte e,
allo stesso tempo, dolce nonno che protegge la vita di Molosso e della madre.
Le tirate polemiche di Andromaca e di Peleo
sono voci di una denuncia che risponde all’evidenza inconfutabile dei fatti.
Menelao, all’inizio della tragedia, promette di salvare il figlio di Andromaca
a patto che costei si allontani dall’altare di Teti. E subito dopo denuncia
l’inganno dichiarando l’intenzione di assassinare l’uno e l’altra. “ Razza di
truffatori -grida Andromaca- maestri degli inganni, delinquenti, sempre pronti
a tramare a spese degli altri! Ingiustizie e soprusi: è così che avete successo
in Grecia! Siete capaci di tutto! Una banda di criminali, assetati di soldi!
Dite una cosa e ne pensate un’altra. I fatti lo dimostrano. Possiate crepare!”
(vv.445ss.).[1]
Peleo,
nonostante la decrepitezza degli anni, riesce ad attestarsi come difensore
delle vittime, come argine alla prevaricazione assoluta: è lui il portatore
dei valori positivi di un tempo; è lui un vecchio stanco delle ingiustizie,
della guerra e dell’indecenza dei potenti, ma allo stesso tempo strenuo ed
energico amico e portavoce dei deboli, ormai spogliati di diritti e di ascolto.
Nessun commento:
Posta un commento