martedì 26 agosto 2014

Andromaca: creatura integra e moderna nel XLVII ciclo delle rappresentazioni classiche a Siracusa

 (articolo del maggio 2011)

Una donna che rappresenta un insieme di donne: madre, moglie devota e poi vedova inconsolabile. Esule, sola, combattiva, forte. In una parola: Andromaca.
Quest’anno anno l’eroina euripidea, insieme al Filottete di Sofocle, è  protagonista al Teatro greco di Siracusa del XLVII Ciclo di Spettacoli Classici, inaugurato l’11 maggio e che si concluderà il 26 giugno.


Riveste il complesso ruolo di Andromaca Laura Marinoni, che con grande perizia tecnica e sensibilità, dopo aver interpretato nel 2002 il ruolo di Io nel “Prometeo incatenato”, ritorna sul colle Temenite con la sfida di mettere a nudo l’esperienza del dolore di una madre che lotta per la sopravvivenza del proprio figlio, di una donna emarginata da una società lontana dal luogo da cui proviene. 


Sconsolata, profonda e ricca di sentimenti si presenta  la sua Andromaca. Estrosa, elegante e orgogliosamente bella è , invece, Ermione, interpretata da Roberta Caronia. 


Tra le due si pone Anna Teresa Rossini, che impersonando la schiava di quella che fu regina, ora schiava, fa vivere angoscia e sorpresa e la vasta gamma di dolori che ne discendono. Andromaca è una creatura integra: privata di marito, patria e privilegi regali. L’unica cosa che possiede ancora è la dignità. Proprio lei insegna il valore etico alla figlia del re.
Davide Susanetti, traduttore della tragedia, utilizza un lessico immediato e un registro basso per non offuscare l’impresentabile oscenità che il testo euripideo mette a nudo.
La tragedia appare volutamente scabra ed essenziale, proprio perché in tale essenzialità emerge il profilo crudo di un discorso sul potere e sulla violenza. 
La scenografia è lineare, ma ricca di significato, impreziosita dalle vibrazioni delle “scaglie metalliche” del mare creato. In mezzo alla scena campeggia quel che resta di una barca spezzata, l’altare della dea Teti, in un palco rivestito di specchi.


“Questa sorta di lago ghiacciato, di mare fermo diventato specchio, mi sembra il luogo dell’anima di Teti”, ha affermato il regista De Fusco. ”La suggestione che mi ha portato a elaborare questa immagine deriva principalmente dal finale, ma anche da un’allusione di Andromaca nel prologo al fatto che il luogo dove vivevano Peleo e Teti, e dove è ambientato il dramma, fosse un luogo isolato”.
Ma perché la scelta proprio dello specchio? “Credo che il pavimento di specchio sia particolarmente efficace dal punto di vista visivo, nel caso di un teatro dove gli spettatori guardano dall’alto. Ci siamo divertiti con lo scenografo Maurizio Balò a immaginare come la natura modificherà questa scenografia, perché l’ora del giorno, la luce del tramonto, il tempo atmosferico, il passaggio delle nuvole renderanno l’effetto visivo continuamente mutevole. La scenografia, quindi, in parte è determinata dalla natura”. Ma la scenografia rimanda anche all’atroce attualità dei profughi. Andromaca fa pensare alle donne che devono battersi per sopravvivere e per proteggere i propri figli. Il suo dramma si rispecchia in  un dramma prossimo alla nostra sensibilità: le conseguenze della guerra, gli amori e le violenze che la accompagnano, il finale trionfo della vera virtù sono le componenti, che rimangono sempre attuali.
L’elemento acqua è uno dei fili conduttori nello svolgersi della vicenda, un leit motiv che ha caratterizzato la tragedia. Un mare che ha   assistito al dramma, ispirando le coreografie di Alessandra Panzavolta, direttrice del Corpo di Ballo del Teatro San Carlo di Napoli, la quale ha pensato di far muovere il coro e gli attori “come se fossero eternamente sopra e sotto il mare, a volte in balia delle onde, a volte divenendo essi stessi creatori di ritmi”. Il coro, costituito da oltre 30 figure femminili, con costumi argento e bronzo, si sposta all’unisono sul palco. I motivi coreografici appaiono al servizio della drammaturgia del testo e si armonizzano con le musiche di Antonio Di Pofi, formando un tutt’uno con i gesti.
Teti, onda-barbona che all’inizio si mimetizzerà in pochi stracci, appare come uno straordinario filo rosso in tutta la vicenda e alla fine della tragedia è la vera dea ex machina, che consola il marito Peleo e che irrompe vestita di azzurro oceano con un fluttuante strascico.


L’Andromaca è un teatro della vergogna e della violenza, della prepotenza dei ricchi e dell’oscenità del potere e della guerra. I soldi, la ricchezza sfrontata, l’oro sono quasi una ossessione. Matrimoni considerati come smaccata merce di scambio per sancire alleanze, come mezzo per incamerare denaro e ricchezze. 
Ermione personifica proprio l’immagine di quella prepotenza, di una prevaricazione che tenta di imporsi al di sopra di tutto e tutti. La giovane moglie di Neottolemo si sente minacciata dalla schiava Andromaca, dalla preda di guerra del marito. Allo stesso modo, Deianira nelle Trachinie di Sofocle teme di essere messa da parte quando scopre che Iole, anch’ essa prigioniera di guerra, è oggetto della passione di Eracle. Si possono notare inoltre collegamenti con Medea, che dispone dell’astuzia e dei filtri per colpire i suoi nemici. Ma in realtà nell’Andromaca (a parte le accuse di Ermione) non vi è prova che l’infelice moglie di Ettore faccia uso di filtri magici. Ermione tenta di cucire addosso alla sua rivale il profilo della barbara pericolosa, della donna asiatica terribile e capace di tutto. Il parlare di Andromaca è un “franco parlare”, privo di furbizie retoriche e di manipolazioni (parrehesia). Andromaca è quindi l’assoluto contrario di Medea con cui l’interlocutrice vorrebbe farla coincidere. 
In questo scenario, Peleo, interpretato da un superbo Mariano Rigillo, rappresenta l’unico esempio  positivo di un universo patriarcale, memoria di un passato diverso, legato alla terra, di un mondo non disposto a riconoscersi in quello che la polis è diventata. Peleo è un forte e, allo stesso tempo, dolce nonno che protegge la vita di Molosso e della madre.
Le tirate polemiche di Andromaca e di Peleo sono voci di una denuncia che risponde all’evidenza inconfutabile dei fatti. Menelao, all’inizio della tragedia, promette di salvare il figlio di Andromaca a patto che costei si allontani dall’altare di Teti. E subito dopo denuncia l’inganno dichiarando l’intenzione di assassinare l’uno e l’altra. “ Razza di truffatori -grida Andromaca- maestri degli inganni, delinquenti, sempre pronti a tramare a spese degli altri! Ingiustizie e soprusi: è così che avete successo in Grecia! Siete capaci di tutto! Una banda di criminali, assetati di soldi! Dite una cosa e ne pensate un’altra. I fatti lo dimostrano. Possiate crepare!” (vv.445ss.).[1]
Peleo, nonostante la decrepitezza degli anni, riesce ad attestarsi come difensore delle vittime, come argine alla prevaricazione assoluta: è lui il portatore dei valori positivi di un tempo; è lui un vecchio stanco delle ingiustizie, della guerra e dell’indecenza dei potenti, ma allo stesso tempo strenuo ed energico amico e portavoce dei deboli, ormai spogliati di diritti e di ascolto.






[1] Traduzione D. Susanetti, Andromaca

Nessun commento:

Posta un commento