sabato 5 ottobre 2013

Il colore greco del mare siracusano

(articolo di Chiara Gradante)

Il mondo antico era a colori o in bianco e nero? L’ analisi dei testi antichi aveva portato gli studiosi del XIX secolo a ritenere che i Greci avessero scarsa consapevolezza dei valori cromatici, che fossero quasi daltonici. Lazarus Geiger, analizzando i poemi omerici, sosteneva che non solo Omero ma tutti gli antichi dovevano avere una sensibilità ai colori diversa dalla nostra, poiché solo chi ha occhi diversi dai nostri può dire che il cielo è nero o che il vino e il mare sono dello stesso colore. 


In realtà la visione coloristica dei Greci era condizionata da valori di luminosità più che da quelli della tinta, motivo per cui i nomi dei colori in greco non sono sempre e perfettamente sovrapponibili a quelli moderni. Inoltre occorre prendere in considerazione che  particolari espressioni coloristiche potevano semplicemente essere spiegate anche come immagini poetiche. Luce e poesia sono dunque le due caratteristiche che condizionano la terminologia dei colori della lingua greca e che  possono offrire la possibilità di guardare in modo diverso alle molteplici sfumature coloristiche dei nostri paesaggi siracusani. 
La Sicilia, terra unica nei suoi colori, ci lascia spesso a secco di parole o meglio con quella inappagante sensazione di non trovare la cosa più appropriata da dire di fronte ad un idilliaco panorama. 


L’esperimento è quello di descrivere alcune suggestive vedute del mare siracusano con i termini dei colori della lingua greca, che offrono più sfumature e più profondità di significato di quelli moderni.
Sul far dell’alba, il lembo marino, che si può scorgere oltre la ringhiera del Lungomare Alfeo, appare tra il bianco, il grigio e il ceruleo, luminoso e vibrante. Potremmo definire il colore di questo paesaggio marino con il termine leukòs, che deriva da una  radice indeuropea che significa “trasparente,chiaro”, ma che non sembra avere soltanto l’idea di luminosità: indica prevalentemente tutte quelle gradazioni di bianco che muovono dal colore della neve fino al bigio delle polvere. A livello poetico, in particolar modo nelle omelie esameronali dei padri Cappadoci, il colore del mare viene definito “bianco” perchè in esso vi regna una profonda quiete. In questo caso l’idea del bianco è associata alla sfera del positivo: esprime il divino, rinviando a tutto ciò che è puro, innocente. La valenza positiva del bianco è attestato anche nell’antichità greca:  in Euripide e in Plutarco è segno di felicità. Ed ecco che un solo termine riesce ad esprimere in maniera più completa quello che la nostra lingua arriva a significare solo in parte.
All'avanzare della mattina, nelle ore di poco antecedenti al caldo mezzogiorno primaverile, la stessa parte di mare del Lungomare siracusano sembra assorbire tra le sue acque un colore ancor meno deciso, più lucido e sfumato: non azzurro, ma tra il giallo e il grigio. In greco il termine xantòs  sembrerebbe il nostro giallo. Ma se si analizza la radice indeuropea kasen-, da cui deriva il termine greco, si vedrà che in latino risponde a canus “grigio, canuto”, in tedesco a  hasan “grigio”, in inglese a  hasu “grigio,bruno”. Il valore coloristico che predomina è il grigio e non il giallo. Inoltre la radice indeuropea kasen- ha un valore luministico che si ritrova anche in altre lingue: kasen-, da cui deriva il termine greco, in latino risponde a canus “grigio, canuto”, in tedesco a  hasan “grigio”, in inglese a  hasu “grigio,bruno”. Il valore coloristico che predomina è il grigio e non il giallo: non potremmo trovare termine più appropriato per descrivere il colore del mare a mezzoggiorno.
Proseguendo ad ammirare la nostra veduta del Lungomare Alfeo, ci potremmo imbattere in una delle visioni più affascinati ed incantevoli: il mare al tramonto.


E’ il momento in cui il sole scende sull'orizzonte  tingendo di rosso il letto del mare. E’ l’ora in cui la luna comincia la sua ascesa, lasciando bagliori a perdita d’occhio e un colore indefinito che sembra sfumare sotto le onde del mare. Per indicare la tonalità del rosso la lingua greca usa prevalentemente due termini che hanno diversa valenza: erytròs, il colore rosso propriamente inteso, e porfyreos, più precisamente il colore della porpora. In italiano, invece, non sembra esserci una così netta differenza: il rosso è il colore del sangue vivo, del rubino, ma anche della porpora. In questo caso, però, i due termini non riescono ad esprimere in modo esaustivo quel tipo di rosso tanto cangiante e luminoso. Ma se prendiamo in considerazione il prefisso ypò che viene premesso al termine erytròs, avremo un ypèrytros che è vicino al significato del nostro “rossastro”, ma che in sé porta una sfumatura di colore ancor più attenuato e luminoso, che si avvicina di gran lunga al colore del mare al tramonto. La visione del colore dei Greci quindi è condizionata dalla luce che, colpendo gli oggetti, si compone in vari colori che si accostano e si mescolano, esaltandosi reciprocamente. Colorano la realtà così come credono di percepirla e non si limitano a rappresentarla solo naturalisticamente. In questo non vi è intimismo o sentimentalismo, ma la nitida applicazione di una nuova “verità ottica:  l’uomo esprime la poesia della luce sempre mutevole.


Potremmo ricorrere a questi termini per descrivere qualsiasi paesaggio marino di una qualsiasi località non specificatamente siracusana o siciliana, ma è anche vero che soltanto chi vive sapendo di  essere erede della classicità greca può comprendere il fascino e l’unicità di questa lingua, e servirsene non soltanto per puro sfoggio lessicale, ma con la consapevolezza di chi sa dare alla vita il giusto colore.


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