lunedì 3 giugno 2013

Riflettendo sul Grande Gatsby…

Il suo insaziabile animo anelava sempre alle cose smisurate, fantastiche, sempre troppo grandi.(Sallustio, De coniuratione Catilinae)


Questa breve descrizione, che lo storico romano Sallustio dedica alla figura sinistra ed estremamente affascinante di Lucio Sergio Catilina, sembra calzare a pennello anche per Jay Gatsby, protagonista del romanzo “Il Grande Gatsby” di Francis Scott Fitzgerald, pubblicato a New York il 10 aprile 1925, da cui è stato tratto l’omonimo film, con la regia di Baz Luhrmann, ultimamente nelle sale cinematografiche. Forte il successo al botteghino, debolissimo nei giudizi della critica. Indiscusso, comunque, il talento di Leonardo Di Caprio, che veste appunto i panni del miliardario Jay Gatsby, gentiluomo misterioso e seducente. Non era semplice interpretare questo ruolo, già ricoperto nel 1974 da Robert Redford.


Un film che fa, inevitabilmente,  pensare e riflettere. Gatsby vive a cavallo di un punto di svolta della storia americana, i ruggenti anni ’20, tra il boom economico e il crollo di Wall Street del 1929, tra stile di vita dissoluto ed eccessivo, alcol a volontà, vizi, valori marci e frivolezza. Tra feste da sogno in ville con piscina, musica, lusso, soldi e persone di ogni ceto sociale, c’è una profonda mancanza di affetti autentici, una solitudine straziante, un’enorme carenza di comunicabilità. E troppa indifferenza. Unico obiettivo: arricchirsi e  godersi la vita in quel preciso momento, senza pensare neppure per un attimo al futuro. 


Il più solo di tutti i personaggi è appunto Gatsby, nella cui lussuosa villa si svolgono feste favolose, alle quali solitamente non partecipa e a cui accorre tutta la città. Rigorosamente senza invito. Tutto ciò che si organizza nella sua casa avviene per il solo scopo di poter rivedere e far tornare l’adorata Daisy, l’amore della sua vita, che ha dovuto lasciare per partire per la Prima guerra mondiale, giurandole eterna fedeltà. Lei, però, è ormai sposata ad un ricco giocatore di polo e madre di una bimba di tre anni, ma Gatsby non demorde e giura di riconquistarla. 


Come lo ha definito Leonardo Di Caprio in un’intervista rilasciata per  il settimanale Vanity Fair, “ Gatsby è una persona che cerca di riempire le sue mancanze. Un ragazzino cresciuto nella povertà che rifiuta il mondo dei genitori e si reinventa per amore di Daisy. L’ossessione per lei, la nevrosi che muove le sue azioni, l’ambizione, il bisogno di essere accettato dalla cosiddetta aristocrazia americana: tutto questo fa di lui un uomo solo e triste che si staglia contro i grandiosi fondali delle più sfavillanti, decadenti e sfarzose feste della New York di quel tempo”.
L’affascinante gentiluomo, arricchitosi grazie al contrabbando e alle attività illecite, spregiudicato scalatore della società, è dotato di un grande dono: la speranza. Quella speranza che si percepisce dal suo sorriso non comune. Egli è un eterno e inguaribile sognatore, che non rinuncia mai in ciò che crede. Egli è uno che cerca il successo non per se stesso, ma per fare colpo sulla donna che ama. Un personaggio, purtroppo, destinato alla sconfitta, che appare inadeguato al gretto e vuoto mondo che lo circonda.
Un film, appunto, che fa riflettere, che lascia un po’ l’amaro in bocca, quasi non accettando lo spettatore che valori così puri e alti non portino al meritato e tanto agognato lieto fine. Francis Scott Fitzgerald ha rappresentato gli ideali, i sogni e il marcio dell’America degli anni ’20. Ma anche, diciamocelo chiaramente, il tallone d’Achille della nostra società attuale. Oggi si è sempre alla ricerca dell’ amore, quello vero, per cui si è disposti a tutto. Il vuoto intorno a sé è, purtroppo, una sensazione che può capitare, a volte troppo spesso. Ci si può sentire soli nell’epoca della “pseudo comunicazione”, non capiti, come monadi pazze, ciascuna con il proprio percorso. L’incomunicabilità è un problema sempre attuale: pensiamo a quella tra genitori e figli, tra marito e moglie, tra amici e parenti. Sembra quasi che ci si sia fermati, che abbiamo ammaccato il tasto “stop” del videoregistratore e non riusciamo ad andare avanti. E poi… Siamo davvero capaci ancora di sognare in grande e di essere ottimisti, nonostante i problemi gravi con cui la nostra società deve fare i conti? I sognatori e i romantici, come Gatsby, oggi pare siano sempre meno, una razza in via di estinzione. Come i panda. Ce ne vorrebbero di più. 


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