Di tutto
l’universo politeistico greco, nessuna divinità è stata più studiata e
celebrata di Dioniso, ma, paradossalmente, nessuna risulta altrettanto
complessa e sfuggente. È il dio del mistero e dei Misteri, il nume della
maschera e dei travestimenti e dunque, per eccellenza, la divinità del teatro;
il dio della forza genitrice, identificato come “archetipo della vita
indistruttibile” da K. Kerenyi; un dio che uccide e che a sua volta è ucciso;
donatore di tutto ciò che è buono eppure capace di lacerare crudelmente i corpi
degli uomini e di cibarsi di carne cruda. È il dio della contraddizione, di tutte le contraddizioni.
Di questa
divinità, tanto amata da Nietzsche,
tratta in maniera esaustiva Walter Friedrich Otto nel suo “Dioniso. Mito e
culto” (Il Melangolo editore), facendo abbastanza chiarezza su un personaggio
tanto complesso e misterioso.
Una
divinità tracia dell’ebbrezza, non volgare, né forse, in origine, connessa col
vino, ma autogena e trascendente, che faceva appello alle passioni più che all’intelletto,
alla gioia e al terrore piuttosto che alla ragione. Dioniso era figlio di Zeus
e di Semele, una donna mortale. Ancor prima d’averlo partorito, però, la madre
fu incenerita dalla folgore del suo sposo celeste, avendogli chiesto di farsi
finalmente vedere . “Ma il padre non lasciò che suo figlio andasse perduto;
freschi rami d’edera lo ripararono dalla vampa in cui la madre fu incenerita e
il nume stesso subentrò nella funzione materna; accolse nel suo corpo divino il
corpicino ancora inadatto alla vita e quando le dieci lune furono completate
diede il figlio alla luce”(“Dioniso. Mito e culto”, W. F. Otto, p. 71).
Dioniso rappresenta in particolare lo stato di natura
dell'uomo, la sua parte animale, selvaggia, istintiva, che resta presente anche
nella creatura più civilizzata, come una parte originaria insopprimibile, che
può emergere ed esplodere in maniera violenta se viene repressa anziché
compresa ed incanalata correttamente.
Veniva seguito sempre da uno stuolo di satiri, esseri
semiferini raffigurati per lo più in atto di danzare o suonare o
all’inseguimento amoroso di ninfe, e da Menadi, giovani donne che, abbandonate
le occupazioni tradizionali nell’intimità domestica, errano con lui per i monti e i liberi campi,
danzando, folleggiando, cacciando fiere e compiendo opere prodigiose.
“Il fragore con cui s’avanza Dioniso col suo
seguito divino, il fragore scatenato dalle turbe umane invasate dallo spirito
di lui, è un autentico simbolo dell’irruzione spirituale: improvvisamente un
elemento smisurato irrompe nella vita, col terrore che è al tempo stesso
estasi, con un’eccitazione che confina colla paralisi, col sopraffare tutte le
normali e consuete impressioni dei sensi” (p. 98). Le donne, le cosiddette Menadi o Baccanti, erano vestite con pelli
animali, con in testa una corona di edera o quercia o abete, e celebravano il
dio cantando, danzando e vagando come animali per monti e foreste. Bisogna
notare che le donne che seguivano il dio del vino e del teatro erano strappate
ai loro compiti familiari e decidevano di abbandonare la casa del padre. La
rivolta contro Hera, patrona del matrimonio e del parto, in un accesso di
follia dionisiaca va letta come rifiuto dello stato matrimoniale: la
trasgressione della doppia attività, cioè della tessitura e del matrimonio,
implicava una radicale contestazione di quei ruoli che definiscono la donna
greca all’interno della città.
“Mentre tutte le altre divinità si
accompagnano con esseri del loro medesimo sesso, l’immediato sfondo ed il seguito
di Dioniso si compone di donne, e il dio stesso ha nella sua natura qualcosa di
femminile. Non che sia un debole, perché anzi è un lottatore e un trionfatore:
ma la sua virilità celebra la sua vittoria più sublime tra le braccia delle più
celebri creature muliebri, e per questo, nonostante il suo spirito guerresco,
gli è aliena l’autentica mentalità eroica”(p. 184). Complicato poter recensire
un libro di tal genere e con un protagonista di questo rango, ma com’è scritto
nella quarta di copertina del libro, “nessuno meglio di Walter F. Otto possiede
la felice disposizione a far rivivere un mondo passato in tutta la sua
grandezza e il suo splendore”.
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