Buon pomeriggio! Vi riporto qui di seguito un bell'articolo di una mia amica, Adriana Pedicini, già docente di lettere classiche nei licei, autrice di una raccolta di racconti "I luoghi della memoria" (A. Sacco editore), che ha vinto il 1° premio nel concorso internazionale di Narrativa Taormina 2010, e di una silloge di poesie, Noemàtia (Linee infinite edizioni 2012), tra cui figura la poesia "Mare Monstrum", !° premio al premio internazionale di poesia Otto milioni 2013, assegnato dal comune di Terranova (Me).
Adriana Pedicini ha curato anche "Da Europa a Europa", dispense didattiche sul teatro antico e sull'origine della civiltà occidentale. Ultimo suo lavoro è la raccolta lirica "Sazia di luce" (Edizione Il Foglio, Orizzonti). Grazie Adriana e benvenuta a bordo di questo blog! Buona lettura a tutti :)
"Omne tulit punctum, qui miscuit utile dulci" tradotta letteralmente significa:
"Ha ottenuto un consenso unanime chi ha mescolato l'utile al dolce (Orazio, Ars poetica, verso
343). In altre parole: "Raggiunge
la perfezione chi sa unire l’utile al dilettevole”.
Con questo verso (e con quello seguente: ...lectorem
delectando pariterque monendo, cioè: "...dilettando e insieme
istruendo il lettore") Orazio intende assegnare alla poesia una funzione
didascalica, d'insegnamento. Questo principio di poetica che Orazio fa suo è
appreso dalla cultura ellenistica, sviluppatasi in un particolare momento,
tanto per usare un termine moderno, di globalizzazione dei paesi grecizzati.
Ancora: “Il fine del poeta è: o giovare o dilettare o
dir cose piacevoli e insieme utili alla vita. Ciò che inventa col proposito di
dare piacere sia verosimile. Non pretenda la poesia che si presti fede a tutto
ciò che vorrà far credere”.
“Si è fatta questione se una poesia sia lodevole per
l’ingegno nativo o per l’arte. Io non vedo a che giovi lo studio senza vena, né
l’ingegno senza cultura: l’una cosa ha bisogno dell’altra e vanno insieme
concordi”
Certamente questo fine non esaurisce le infinite
possibilità e le peculiarità della poesia, nonché richiama una serie di norme a
cui, pur nella sua originalità, il poeta è tenuto a conformarsi.
“Non basta che le poesie siano belle artisticamente.
Devono trascinare l’animo di chi le ascolta. La massima parte dei poeti
si lasciano attrarre dall'apparenza del giusto: per essere brevi si diventa oscuri, a chi cerca una forbita semplicità vien meno il nerbo e il sentimento,
chi affetta il sublime dà nell'enfatico; chi teme guardingo la tempesta rasenta
la terra, chi s’affanna a variare in modo meraviglioso e strano un soggetto per
sé semplice, finisce col dipingere un delfino nei boschi, un cinghiale nel
mare. Per fuggire un difetto s’incorre in un altro quando manca l’arte”.
Inoltre “Un soggetto acquisterà un’impronta
personale se non ci si perderà dietro il giro di fatti triti, aperti a
tutti”.
A proposito del verso
“Se non posso e non so conservare le funzioni
assegnate ai diversi metri né il tono né il colore dei vari generi letterari
perché lascio che mi dicano poeta? Perché con falso pudore preferisco ignorare
piuttosto che apprendere? Consultate notte e giorno i modelli (Greci)”!
“Non tutti i critici avvertono la disarmonia del
verso. Ma devo per questo scrivere a capriccio? Avrò schivato il biasimo ma non
meritato la lode”.
Sì, perché anche il verso libero deve avere in sé una
musicalità interiore percepibile sia dall'orecchio, sia dalla lettura. Ma cos'è la poesia? Quale il suo status? Quali le finalità? Deve essere asservita alla
morale, alla politica, alla religione, a qualunque argomento dottrinario o
riguarda solo l’interiorità individuale stricto sensu?
Secondo me, qualunque sia il contenuto, l’anima
individuale costituisce pur sempre un filtro, sicché non esiterei ad affermare
che la poesia è storia d’anima ma anche storia d’intelletto. Anche se
l’invadenza delle forme raziocinanti in seno alla poesia rischiano di operare
un’azione distraente e contaminante. Ma non sempre riesce di tener distinti i
due piani della coscienza con il riversare nella prosa la considerazione
critica e il discorso teorico e affidando invece al verso l’introspezione
personale. Una cosa del genere si può notare in Leopardi, il quale, finché al
canto era riservata l’esperienza puramente sentimentale come commemorazione
autobiografica, si sentiva fedele alla propria estetica, ma non c’è dubbio che
con gli anni subisse una evoluzione proprio nella direzione del contenuto
concettuale e raziocinante. Evoluzione già avvenuta in Dante, evoluzione di
tipo intellettualistico, che implicava una rinnovata coscienza della poesia e
dei suoi contenuti. Anche per Dante si trattò di passare dai temi sentimentali
alle proposte dottrinarie. Col mutare della sensibilità lirica, dunque, si
trasforma anche il concetto della poesia, la sua funzione nell'ambito culturale, e pertanto gli stessi valori contenutistici.
La filosofia dell’arte, da Aristotele all'età contemporanea, ha continuamente scandagliato nei modi del fare poetico,
tentando di cogliere i significati multipli e improbabili della poesia, la
quale non è esprimibile con funzioni finite di parole, poiché il suo oggetto
proprio è ciò che non ha un solo nome, ciò che di per sé provoca e richiede più
d’una espressione, ciò che infine suscita una pluralità di forme e di pronunce.
Dunque che cos'è la poesia?
I filosofi hanno spesso preteso di risolvere la
complessità della domanda all'interno di sistemi chiusi e sul piano di astratte
definizioni logiche; i poeti invece hanno fatto.
In questo loro fare forse è possibile fermare l’enigma
dell’arte e svelarne certi percorsi. Dalla necessità di indagare appunto sul
divenire del poiein l’estetica, nell'era moderna, comincia a misurarsi con le
opere, con la riflessione che gli artisti svolgono sul proprio fare.
P. Valery riesce a pensare l’arte al di fuori degli
schemi filosofici tradizionali come un gioco di metamorfosi e di trasformazioni
in perenne fieri, che tende a creare un ordine artificiale e ideale per mezzo
di una materia di origine ordinaria. Ma riesce soprattutto a collocare su un
piano di ontologica autosufficienza ogni discorso poetico e ogni opera che
vengono considerati come stadi di un lavoro che può essere quasi sempre ripreso
e modificato, e questo stesso lavoro dotato di un valore proprio. Donde
consegue che l’opera (la quale esige l’atto della fabbricazione) si configura
fondamentalmente come il risultato di un’azione il cui scopo finito è
quello di provocare in qualcuno sviluppi infiniti, mentre l’artista è colui che
giunge a possedere una conoscenza di se stesso spinta fino alla pratica e all'impiego automatico della propria personalità, della propria originalità.
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