(tratto da giornale Chair del 4 novembre)
“Un’opera nata da un capogiro, la vertigine
che provi danzando sull’orlo di un baratro. L’attrazione del vuoto, l’orrore
del precipizio. Penso sia un malessere diffuso, la nostra è la Società della
stanchezza, come ha teorizzato qualcuno. Viviamo in piena «epocalisse», l’epoca
del finimondo. Poi, quando sei in piedi sul bordo e guardi in basso, senti
quella splendida voce di Nietzsche : Hai ancora, nel cuore, stelle danzanti? E
allora fai un passo indietro, sulla terraferma. E racconti una storia per non
morire.”
Così Elvira Seminara, giornalista, scrittrice
e (non per ultimo) pop artist riguardo alla sua ultima creatura, “La penultima
fine del mondo”. Un’artista completa la catanese, diretta e ironica, con un
modo assolutamente personale di scrivere (penso alle sue fusioni di parole come
“raccontaminare”, reinventando i rapporti tra esse. Anche da qui si capisce il
suo amore per il riciclare, perché anche ciò che sembra ormai inutilizzato e
inutilizzabile ha ancora in sé vita). Adora Calvino, “il suo modo di stare al
mondo, il suo sguardo insieme scientifico e visionario, il suo gusto per le
radici e il bisogno di futuro. Trovo le sue «Lezioni americane» esatte e
profetiche. Non so se mi ha influenzato nella scrittura, a dire la verità.
Piuttosto forse nell’impegno del dirsi”.
Leggendo e ascoltando Elvira
Seminara si ha la sensazione che mette sempre un pizzico di magia alla realtà,
senza tralasciare una più o meno velata polemica verso ciò che ci circonda. Uno
spirito beffardo e ironico si percepisce già dal titolo ossimorico di questo
noir metafisico, “La penultima fine del mondo” (per fortuna è la penultima e
non l’ultima fine del mondo!): in un piccolo paese non specificato la gente comincia a morire, lanciandosi da balconi e scarpate. Così,
senza un motivo apparente. Tutti con un vago e inspiegabile sorriso. La stampa
internazionale, ovviamente, si riversa nella cittadina per documentare gli
eventi, ma solo per un po’… quando, nel timore di un’epidemia planetaria, si
spegnerà il faro dell’attenzione, gli abitanti resteranno nuovamente soli. “Questa
è la stampa, bellezza. E tu non puoi farci niente”, diceva nel film “L’ultima
minaccia” Humphrey Bogart.
Rimane solo uno scrittore di gialli: suo il ruolo
di protagonista del libro, uno
scrittore da festival, quasi antipatico inizialmente, presentandosi molto (anche troppo)
trendy e cool, ma che comunque subirà un’evidente evoluzione (interiore e anche
del look) con lo svolgersi della storia. Accanto a lui, tra gli abitanti, si distingue Don Cristoforo: un prete, un uomo con
le proprie debolezze e i propri limiti, con paure e dubbi, “il personaggio più
autentico e dolente, che sente su di sé la colpa di tutti, l’inadeguatezza”.
Che sia chiara una cosa: non stiamo parlando di
un togliersi la vita, ma di un uscire dalla vita. Sorridendo. È una scelta ben
precisa. Il che è ben diverso. Un chiaro/scuro di immagini balzano fuori
andando incontro al lettore, delle scene oniriche che mi hanno fatto a tratti
pensare ai film di Fellini.
E in futuro? Cosa bolle nella pentola (sembra
senza fondo) di Elvira Seminara? “A novembre sarò a Varsavia e Cracovia, per
presentare “L’indecenza” (pubblicato con Mondadori nel 2008), appena tradotto
in Polonia. Sono molto curiosa di questo incontro, perché noi italiani siamo
davvero poco tradotti all’estero. A marzo andrà in scena per il teatro Stabile
di Catania la commedia “Scusate la polvere”, tratta dal mio penultimo romanzo,
il che mi diverte molto. Per l’occasione, sto lavorando a una mostra di strani
reperti creati sul tema del romanzo, che esporrò in contemporanea al teatro
Musco. Ma non posso dire altro, rovinerei la sorpresa”. Chi vivrà, vedrà.
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