Vive tra Roma e Lisbona, viaggiando sempre con il suo gatto Ulisses, trovato 3 anni fa in un sacchetto di plastica azzurra accanto a un cassonetto. Aveva poche ore di vita quando lei e il marito Diogo Madre Deus l’hanno salvato. Ama visceralmente il Portogallo, anche grazie all’amico Antonio Tabucchi, il quale le fece “un bell'itinerario d'autore. Da quel momento in poi -ammette- non ho fatto altro che tornare in questo Paese”.
“Ognuno deve seguire la sua strada, senza lasciarsi mai influenzare dagli altri”.
Questo il consiglio del suo grandissimo amico di
Pisa scomparso recentemente. Consiglio che Romana Petri segue alla lettera. La
scrittrice e traduttrice romana, finalista al Premio Strega nel 1998 con “Alle
case venie”, è come uno scrigno che nasconde mille storie affascinanti,
esperienze e curiosità, che l’hanno fatta, però, rimanere sempre con i piedi
per terra. Autrice del romanzo “Tutta la vita”, continuazione di “ Alle case
venie”, già dopo poche settimane si è
conquistata il primo posto in classifica in Spagna. “Molti anni dopo mi sono
detta che, in fondo, dare vita alla storia di Alcina e Spaltero poteva avere un
senso. Oggi credo che prima o poi scriverò anche la terza ed ultima parte”. La protagonista del romanzo, Alcina, è una donna
tragica, nel senso greco del termine, e
si è come ritirata in sé, dopo la guerra partigiana nel 1948, in cui ha perso
tutto. “Il buono della sua vita sta nei ricordi felici della sua famiglia, nel
grande amore dei genitori e ciò- continua la Petri- a un certo punto le darà la
forza di tentare ancora, anche se tanto curvata dai dolori”. La paura di
amare, quindi, quella di Alcina, per non dover soffrire altre perdite. Ma non è
lo stesso spavento diffuso anche oggi?
“Oggi, più che altro, siamo persone confuse, e secondo Tolstoj, forse,
meno buone, perché lui considerava la confusione dell’anima un cattivo segno”.
“Oggi
dominano i sensi e l’aspetto fisico come mai è successo prima, e con questi
presupposti non si costruisce nessun grande amore. La vita in comune -afferma-
è fatta anche di buona regia, di molta pazienza e tolleranza. Oggi, consumata
quel po’ di carne che siamo, sul barbecue resta solo la cenere”.
Quando le si chiede il percorso seguito, che l’ha
portata a diventare una scrittrice tradotta e pubblicata in Germania, Stati
Uniti, Olanda, Inghilterra, Francia e Portogallo, ammette con molta umiltà che non
ha seguito un percorso preciso : “Ho deciso di scrivere a 20 anni e ho
pubblicato dopo i 30, componendo ciò che sentivo e non quello che poteva avere
più successo”. L’idea di fondare la casa editrice “Cavallo di ferro”, invece, è
venuta al marito, il quale ne aveva già una in Portogallo. “A me è piaciuta
l’idea, soprattutto quella di passare un po’ anche dall’altra parte e vedere la
letteratura anche con un diverso occhio. Abbiamo pubblicato molta letteratura
lusofona, che in Italia mancava. Credo che abbiamo fatto un buon lavoro.
Ovviamente non ci siamo limitati solo alla letteratura lusofona”.
Riguardo alla crisi dell’editoria, ritiene che
purtroppo “la crisi è combattuta a suon di libri mediocri che costano meno di
dieci euro. E la cosa non mi convince per niente. Sono ancora convinta, anche
in tempo di crisi, che i libri siano ancora la cosa più a buon mercato per
quello che danno in cambio”. Omero, Ariosto, Cervantes, Flaubert, Joyce,
Morante, Manganelli, Guimaraes Rosa, Canetti e tanti altri, gli autori su cui
si è formata la Petri e che hanno influito sul suo modo di scrivere. Moltissima
la passione che trasmette anche semplicemente attraverso un’intervista,
infinito e traboccante l’amore per il suo lavoro e la letteratura. Parecchie le
soddisfazioni di Romana Petri e gli eventi fondamentali della sua vita: il più
importante è, senza dubbio, la nascita figlio Rolando. Le
mamme, si sa, hanno sempre quella marcia in più.
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