Qualche giorno fa, dopo
un’intensa mattinata, ho iniziato a sentire un po’ di musica per rilassarmi.
Tra le diverse canzoni, sono stata “catturata” da “Modì” di Vinicio Capossela,
canzone su Amedeo Modigliani. La pelle d’oca, poi, è aumentata vedendo un video
con quadri del famoso pittore livornese e sue vecchie foto.
Domanda: c’è un nesso tra
musica e letteratura? Qual è? Di certo, un testo deve essere musicale, avere
ritmo, deve suonare dentro di noi. Si può parlare anche di “musicalità” del
testo, e non solo del verso, ma anche delle frasi, dei paragrafi, o di cadenza,
di “cursus”. Di strutture ritmiche, quindi, o di figure di suono: in una
parola, l’importanza della cara vecchia retorica, che fa parte del bagaglio
degli scrittori da sempre.
La
musica - da molti considerata la più libera e pura tra le forme di espressione
artistica - ha sempre avuto un legame molto stretto con la parola. Le storie
più fantastiche, tramandate di padre in figlio per via orale, erano affidate al
suono e al ritmo delle parole. Era più facile mandarle a memoria; soltanto
quando la scrittura ha affiancato e poi sostituito completamente l'oralità -
creando anche, fra le molte conseguenze, una divaricazione tra cultura
"alta" e cultura "bassa" - la narrativa e la poesia hanno
potuto vivere senza la musica. Alla radice stessa della poesia c’è un
fondamentale elemento sonoro, musicale tanto che non possibile solo ‘leggere’
una brano poetico ma è necessario ascoltarlo, come ben sapevano gli antichi
autori dei poemi epici.
Fin dai tempi più remoti, quindi, si è ritenuto che suono e
ritmo avessero un peso importante nell’arte della parola, ma solo nel XIX
secolo questi aspetti assumono una rilevanza primaria e si pongono al centro
della riflessione.
“Anche senza testo la musica di Wagner resterebbe ugualmente
opera poetica, essendo dotata di tutte le qualità costitutive di una poesia ben
fatta, e di per sé esplicita, tanto i suoi elementi sono ben correlati tra
loro, congiunti, adattati reciprocamente, (...) prudentemente concatenati”. (Charles Baudelaire)
Ma potrà mai la poesia essere musicale quanto lo è la musica
stessa? Stephane Mallarmè aggirò la contraddizione e passò, per così dire, al
contrattacco, sostenendo che la poesia è musica più di quanto lo sia l’arte
comunemente nota con questo nome. “Quello che io faccio è Musica. – scrive in
una lettera del 1893 - Chiamo così non quella che si può ricavare
dall’accostamento eufonico delle parole (…) ma l’al di là magicamente prodotto
da certe disposizioni della parola (…). Il termine Musica va inteso qui nel
senso greco, che in sostanza significa Idea o ritmo tra dei rapporti.
Per quanto riguarda la prosa, anch’essa ha uno stretto
rapporto con la musica: è probabile che anche il più innocente periodo
prosastico sia portatore di un sistema di sonorità, di un’intonazione e di un
ritmo. In particolare, si è parlato di vere e proprie ‘unità melodiche’ che
strutturano qualsiasi discorso prosastico.
Le eventuali sonorità o ricorrenze ritmiche passano in secondo piano di
fronte all’intenzione dell’autore, e del testo, di fare
poesia contro le
convenzioni generalmente accettate. Il suono, qui, è il suono che non
c’è; un suono negato, che però deve accompagnare quasi
ossessivamente il lettore.
Infine, ricordiamo che diversi musicisti italiani - soprattutto cantautori - si sono
cimentati nella scrittura di prose, racconti e romanzi (ad esempio Enzo
Jannacci, che nel lontano 1974 ha pubblicato con il grande giornalista Beppe
Viola “L'incompiuter”; da un'altra collaborazione - quella tra Fabrizio
De André e Alessandro Gennari - è nato “Un destino ridicolo”; non
dimentichiamo, inoltre, Ivano Fossati, Francesco Guccini, Luciano Ligabue e
Roberto Vecchioni). Ma questa è un’altra
storia.
Aspetto con curiosità vostri commenti a riguardo! Con o senza penna stilografica :)
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