martedì 5 novembre 2013

Ci si innamora di chi ci si innamora. Punto

Buonasera a tutti! Vi riporto qui di seguito un bell'articolo di Daria Bignardi che ho appena letto, tratto da Vanityfair.it. 
Mi è piaciuto molto nella sua semplicità e allo stesso tempo profondità. Lo vorrei condividere con voi. Perché è inutile nascondersi dietro un dito... Ci si innamora di chi ci si innamora. Punto.



Carlo Gabardini è un attore. È noto soprattutto per il personaggio di Olmo, il responsabile informatico di Camera Cafè, la sit-com di Italia Uno. Non aveva mai sentito il bisogno di fare coming out. «Io della mia omosessualità non parlo mai perché penso non sia una notizia. Ma se la non-notizia di esser gay, nel momento in cui viene dichiarata da tutti i gay, può salvare anche solo un ragazzo dal proprio proposito di suicidio, beh, allora lo dico: io sono gay». Semplice. Se servisse anche solo a una persona al mondo, perché non dirlo?
Carlo lo ha fatto. E ha trovato parole semplici e leggere per spiegare che essere gay è normale quanto non esserlo. Non una colpa, non un problema, non un atteggiamento, tanto meno una deviazione. Come essere biondi, o castani, o magri, o sportivi.
Se io fossi il ministro Carrozza farei leggere la sua lettera in tutte le scuole e chiederei agli insegnanti di dedicarle un tema, una ricerca, una giornata di confronto e riflessione tra gli studenti, perché è molto efficace. Repubblica l’ha messa in prima pagina venerdì 2 novembre, qualche giorno dopo il suicidio di Simone, il ventunenne gay che ha lasciato scritto di sentirsi vittima dell’omofobia.

«Caro ragazzo gay, o bisex, o indeciso o boh, la vita è durissima, spesso è uno schifo, ma la propria identità sessuale non può mai essere un motivo per deprimersi, farsi del male, uccidersi. Scusami se ti scrivo, ma io ho bisogno di dirti una cosa: essere gay è bellissimo», comincia Carlo.
E riesce davvero a spiegare come proteggersi dall’omofobia: «Se tu finalmente ti convinci di essere nella tua squadra del cuore, la più splendente perché meglio definisce i tuoi gusti sessuali, beh, allora che ti frega che quelli di altre squadre ti prendano in giro? Se sono dell’Inter e un milanista mi urla “nerazzurro di merda” io me ne faccio un vanto… non mi lascio deprimere o far venire dei dubbi, non mi lascio convincere che quello sbagliato sono io, che quindi debba punirmi e possibilmente strapparmi di dosso questa brutta cosa o ammazzarmi. Ma neanche per sogno».

Definisce un contesto e una certezza: «C’è stato un tempo antico e pure lunghissimo in cui l’omosessualità non era assolutamente un problema, credo che nemmeno se ne parlasse; poi ci son stati secoli bui e buissimi di oscurantismo, arresti, lotte, morti, e battaglie vinte, e passi indietro, e leggi terribili e pena di morte, e tutto ciò in realtà dura tuttora in troppi luoghi. Però nel 2013 c’è una certezza che nell'intimo nessuno può misconoscere: essere gay o eterosessuali è assolutamente la stessa cosa». Fa esempi lampanti e risoluti: «Ovviamente troverai chi ti dice che le bionde sono stupide e i mancini subdoli, come sicuramente troverai anche degli etero che ti dicono che i gay fanno schifo, e incontrerai dei gay che ti ammoniscono che andare con le donne sia orribile e pericolosissimo, ma sono frange estreme ignoranti, sono slogan da tifoserie, niente che debba preoccuparci davvero».

Riesce a farti sorridere: «Quando sento qualcuno farneticare dicendo che l’omosessualità è una malattia, la mia prima ­reazione non è mai violenta o depressiva, piuttosto è la stessa identica che avrei se sentissi qualcuno dire “l’obesità è infettiva” o “masturbarsi rende ciechi”…  di solito gli sorrido come a un povero scemo, poi se mi va cerco pure di spiegargli che sta dicendo delle stronzate piuttosto umilianti, ma intendo umilianti per lui».
Insiste sul punto essenziale: «Se invece dopo le parole stupide di uno stupido vado a casa a piangere, e penso che farmi del male possa in qualche modo curarmi da questa terribile malattia che è “amare chi amo ed essere quello che sono”, sto facendo il gioco dello scemo».
E poi conclude con parole definitive e bellissime: «Io mi innamoro di Alessia, di Salvatore, di Caterina, di Dario, di Elena, di Cézanne, di Monet, di Gadda, di Philip Roth, di Tondelli, della Munro, non delle donne o degli uomini, non dei pittori o delle pittrici, e neppure degli scrittori o delle scrittrici. Ma ve lo immaginate nascere in un posto dove ti dicono: tu puoi amare solo le musiciste donna oppure i tabaccai maschi? Non è così. Ci si innamora di chi ci s’innamora. Punto».

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