giovedì 6 giugno 2013

Istanbul: battaglia per la natura e per la libertà

La battaglia d' Istanbul in difesa di seicento alberi,
novecento arresti, mille feriti, quattro accecati per sempre,
la battaglia d' Istanbul 
è per gli innamorati a passeggio sui viali,
per i pensionati, per i cani,
per le radici, la linfa, i nidi sui rami,
per l' ombra d' estate e le tovaglie stese
coi cestini e i bambini,
la battaglia d' Istanbul è per allargare il respiro 
e per la custodia del sorriso”.


Parole semplici che arrivano dritte al cuore, il rispetto della natura, un quadretto idilliaco, ma anche arresti e violenza, voglia di quella normalità e quotidianità tanto ambita e desiderata, ma che a volte sembra tanto lontana. Così lo scrittore napoletano Enrico De Luca (detto Erri) descrive con estrema delicatezza e sensibilità ciò che sta avvenendo a Istanbul. 



È iniziato tutto come una protesta di cittadini contro la distruzione di un parco, il Gezi Park di Taksim, e dei suoi 600 alberi, uno dei pochi polmoni verdi di Istanbul, al posto del quale deve essere costruito un centro commerciale. Una battaglia contro la cementificazione, un sit-in pacifico dei cittadini per tutelare il territorio in cui vivono. Ma solo per quattro giorni. Poi la situazione è andata velocemente degenerando, da quando la polizia è intervenuta armata di cannoni spara acqua, spray al pepe, lacrimogeni e manganelli elettrici per allontanare i manifestanti, che hanno risposto tirando pietre con le mani o con le fionde. Il bilancio: più di 1.000 feriti.  Un’ondata di indignazione si è diffusa alla visione del feroce intervento della polizia, ripreso con i telefonini dai manifestanti. La decisione di distruggere il parco Gezi è stata la classica goccia che  ha fatto traboccare il vaso, dopo anni di crescente insoddisfazione di buona parte della popolazione nei confronti del governo guidato dall’AKP, il Partito filo islamico per la Giustizia e lo Sviluppo, capeggiato dal premier Recep Tayyip Erdogan, al potere dal 2002. Appare assurda la linea oscurantista portata avanti sui principali canali di informazione: tutte le televisioni turche fino a pochi giorni fa continuavano la normale programmazione, evitando accuratamente di parlare del Gezi Park, mentre su Facebook e Twitter non si parlava d’altro( anche se, ultimamente, c’è chi accusa il governo di aver bloccato la connessione internet su computer e smartphone).


Il governo fa pressione su tutto, ci dice: fate tre figli, non bevete, non fumate, non camminate mano nella mano con il vostro fidanzato”.
Queste le parole alla “France Press” di una pensionata, che chiede l’anonimato. La Turchia è una pentola che bolle e le autorità cercano di contenere la protesta. Nel 2014 ci saranno le elezioni. Allora, forse, si potrebbe voltare pagina e scrivere più liberamente la storia del Paese.

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